Opere pittoriche dal 2000
I paesaggi "ficti" di Pierluigi Piccinetti
Chi sia entrato nello studio di Pierluigi Piccinetti in questi ultimi dieci/quindici anni avrà certamente notato come al vertice dei suoi interessi stessero soprattutto due cose, il paesaggio e la natura morta. (...) Il suo occhio e la sua mano si esercitavano a cogliere con impressionante somiglianza, con straordinario virtuosismo, fino a toccare momenti di trompe - l'oeil, la profondità caliginosa di pianure assolate a livello del mare, viste dall'alto delle colline immediatamente retrostanti; la sensazione di gelo che s'impossessa di noi nella tersa luce del mattino, alla vista di Monte Giove innevato nella notte; la lucentezza accecante di una brocca d'argento; la soffice e quasi crepuscolare consistenza cromatica della lana di un tappeto persiano e dei suoi disegni.
Piccinetti vaga in questi spazi, a volte attraversandoli d'un balzo, a volte assaporandoli passo passo; egli li vive nella gioiosa altitudine e solitudine di colui che, proprio per vederli, li conosce (oida = ho visto, e dunque so, conosco - dicevano i greci), e nella conoscenza può riviverli e animarli. Così è anche la materia, che egli conosce nel suo esito estremo, il colore. Attraverso il colore egli può farla propria, può possederla, e la materia lo ricompensa trasformandosi, sotto le sue mani, in altro da sé, quasi alchemico processo in cui è possibile ritrovare l'oro della fantasia che prima ha occupato la nostra mente, quando la vita era sogno. Gli ampi spazi, i cieli tersi, i monti innevati che prima potevano essere cercati solo fuori di noi, en plein air, sono in noi, dice il pittore, e tutto può diventare acqua, monte, spazio, vita, purché si abbiano il coraggio e la capacità di guardare dentro di noi e la sincerità di raccontarci come siamo. Anche i virtuosistici tappeti, anche le accecanti argenterie, anche le straordinarie tovaglie bianche possono diventare luoghi dello spirito.
L'ostinazione a possedere la verità - verità di forma e di colore, a impossessarsi del reale, ha portato Pierluigi Piccinetti a superare la realtà stessa. Egli si avvale ora del reale per trascenderlo. E' l'approdo, forse necessario e inevitabile nel suo cammino d'artista, al regno del sogno, all'affermazione della supremazia della dimensione onirica su tutti gli aspetti della natura umana, la dimensione che in Freud, Breton e Apollinaire ebbe i sui geniali predecessori. E' l'approdo alla felice, visionaria verità di colui che sornionamente, può permettersi di guardare chi, con interessata disinvoltura, della sua raffinata arte sentenzia: - grande tecnica -, ma solo tecnica -, e sorridere senza dar risposta, perché sa bene che là dove si trova, nella verità del sogno, quel che lui ha toccato e conosciuto non può essere scalfito da alcuno.